Monte Toc
Domenica 11/10/2009 da solo
Tempo salita : ore 3,30
Percorso intero: ore 6,00
Dislivello salita: m. 1.150
Impegno : EE 1°inf. Sentiero faticoso e in diversi punti scivoloso
Carta 1/25.000 : Tabacco foglio 21
Il 9 ottobre 1963. Data che ha segnato in modo indelebile la storia di questa vallata. “Il Monte Toc poggia con la sua parete settentrionale su una base argillosa, sopra una frana preistorica, la sola misura di sicurezza è l’abbandono del progetto diga”. Le diagnosi dei geologi Edoardo Semenza e Leopold Müller non hanno il potere di fermare i lavori quasi ultimati. L’investimento fatto ha bisogno di giustificati ed urgenti riscontri economici. I documenti che provano l’instabilità di questa montagna, sono occultati insieme ai rapporti sismografici della valle, oltretutto stanno per scadere anche i termini d’ultimazione dei lavori e la SADE rischia di perdere i contributi statali. Lo stesso Monte Toc con un urlo di pietra si dichiara innocente, ma con i morti del Vajont è rimasto l’unico a pagarne le conseguenze. Maledetto a vita da tutti risulta nonostante tutto estraneo alla cosa. La sua cima, curiosamente, ha dato il nome all’intera montagna pur non essendo la più alta ( infatti è la vicina Cima Mora con i suoi 1938 metri). Sembra staccarsi ed isolarsi dal blocco compatto, riusciamo a vedere tutt’attorno tranne la diga e la frana stessa ai suoi piedi. Anche durante la salita, ci passiamo di fianco e pur intuendola non possiamo scorgerla. Non dimentichiamo ciò che è stato e non trascuriamo neppure questa montagna che ha ben altro da offrire.
Percorso:dopo la strada delle gallerie, a senso unico alternato, si passano i vari parcheggi in prossimità della diga. Prendiamo la prima stradina a destra che più avanti conclude alle case di Pineda, fermandoci però al primo curvone della stessa. Siamo giusto sotto la nostra montagna e cerchiamo la soluzione alla vetta. Bisogna inevitabilmente aggirare a destra tutto il versante interessato dalla frana e guadagnare la spalla ovest del monte. La si risale però all’interno, lungamente, fino ai piedi della Croda Vasei e alla Casera omonima. Si raggiunge il circo superiore ed in breve la punta del Toc. Lasciata l’auto sullo spiazzo (m 820), c’incamminiamo dunque lungo una stradina sterrata chiusa al traffico (indicazioni per Casera Vasei e sentiero 907). Perdiamo una trentina di metri e al bivio proseguiamo a sinistra, brevemente, fino ad un secondo svincolo, questa volta segnalato. Entriamo nel bosco percorrendo un sentiero tortuoso e di seguito una vecchia stradina rettilinea fiancheggiata da muretti di sassi. Guadagniamo la spalla destra del monte, affacciandoci finalmente sulla valle del Piave (ore 0,30). Ci aspetta ora un tratto assai ripido e scivoloso, impegnativo soprattutto in discesa quando è bagnato. Utili i bastoncini, se li avete. Senza tante svolte arriviamo faticosamente ad un cartello che indica l’esatta direzione da seguire (ore 1,00). I segnavia non mancano e la traccia è sempre riconoscibile fino alla cima. Per stradina confortevole e più umana ritorniamo sul versante settentrionale della montagna, sopra la famosa “emme” della frana. L’avvertiamo sotto di noi e forse è bene non poterla vedere. Il tappeto di foglie lascia il posto alle pigne. Usciamo dalle conifere giusto il tempo di lanciare un’occhiata al paese di Erto e passare alla base della Croda Vasei che andiamo a rimontare di fianco e ancora per bosco. Vi troviamo in capo una radura e i resti di vecchie dimore per uomini e bestie, siamo a 1610 metri e solo la Casera Vasei può ancora vantare un tetto per il riparo in caso di pioggia. Erano tempi duri se si arrivava fin qui per falciare l’erba e governare le vacche. Luogo bucolico (ore 2,15). Cominciamo l’avvicinamento alla vetta, sopra un masso è dipinta una freccia rossa da seguire in direzione sud. Gli omini sono visibili, non si può sbagliare. Tra la bassa vegetazione ora, una trincea contorta tra mughi e rododendri ci spinge fino ai bordi di un catino. Abbiamo davanti in controluce la Cima Mora e al suo fianco, divisa da un intaglio, la punta ancora indecifrabile del Toc. Sulla destra, lo avviciniamo guidati da altre indicazioni sui massi. Ci dobbiamo aiutare con le mani per superare un gradino più alto degli altri (1° inf.), segue un buon tratto erboso anche tra le macchie di rododendri, oltre le quali il pacifico pendio si butta a perpendicolo dall’altra parte. Assecondiamo ancora a destra la dorsale erbosa, un breve passaggio tra i mughi e sbuchiamo infine sull’anticima del Toc tra gioia e perplessità. Ci sorprende infatti la vera cima, appena più alta, ulteriormente staccata ed isolata sopra la valle di Longarone. Niente di difficile comunque, solo un po’ d’attenzione quando ci si abbassa di qualche metro per traccia franosa e l’esposizione si fa sentire. I mughi, insostituibili ringhiere, ci assicurano mentre attraversiamo e vinciamo l’ultimo pendio di detriti fino alla piccola croce fatta con due rametti (m 1921, ore 3,30. Cinque minuti dall’anticima).
Tempo totale salita ore 3,30.
Dislivello salita m 1.150.
Discesa: stesso sentiero 907 in ore 2,30 circa.