Sabato 12/10/2013 da solo
Tempo salita :
Percorso intero :
Dislivello salita :
Carta 1/25.000 :
Impegno :
ore 3,30
ore 6,00
m. 1130
Tabacco foglio 12
EEA 1° tratti ferrati brevi ma difficili
La salita al Cimón del Cavallo o Cima Manèra a dir si voglia, è la più conosciuta e frequentata in tutta la conca dell’Alpago. Forse perché la classica ha inizio dagli aperti e distensivi pascoli di Col Indes, sopra il comune di Tambre e anche transita in un accogliente rifugio d’alta quota, dettaglio non scontato in queste zone. Più semplicemente perché inglobata in una più vasta rete di passeggiate alle malghe e vie alle cime limitrofe, che soddisfano un po’ tutti quanti, dalle famiglie con i bambini ai percorritori dell’Alta Via n°7. Gli escursionisti ora si allungano dove prima era l’ignoto, sfruttando pure l’Alta Via dei Rondói (Rondoni), che ha inizio dal Piancavallo e concatena ben cinque cime di questo sottogruppo. Pensata e realizzata nel 1969, richiede una scaltrezza e una fermezza di piede da non sottovalutare. È probabile incontrarvi atleti in pantaloncini corti e scarpe da ginnastica, senza zaino e armati solo di racchette, che corrono come i caprioli lungo le creste esposte, trasformandola in un allenamento toccata e fuga, più che una classica camminata in montagna. Va detto che l’intero giro è assai lungo (circa otto ore) e non consente certo di fermarsi e godersi il panorama. Noi approfittiamo solo del breve tratto che collega il Cimón di Palantina alla stessa Cima Manèra, che permette di chiudere un percorso ad anello davvero bello. Montagne apparentemente friabili e tenute insieme dalle zolle d’erba che arrivano quasi sulle cime, basta però sporgersi e guardare le pareti “cattive” per capire che ci sbagliamo. Pure d’inverno, il Cimón di Palantina regala una delle più belle discese con gli sci della zona. Noi allora lo saliamo per la via normale, facile e faticosa nel suo scontato e naturalissimo procedere e sapremo cavarcela come sempre.
Percorso:risaliamo gli alpeggi di Col Indes tra fattorie e maneggi operativi. In alta stagione c’è la folla che si disperde nei prati e compra i prodotti caseari, ma i mesi che rimangono sono a disposizione di chi cerca il silenzio e le montagne e forse sono i migliori. Le lunghe palizzate ci accompagnano con un paio di tornanti alle casere superiori, dove possiamo lasciare la macchina sugli spazi adibiti a parcheggio e non intralciare il passaggio. Nei pressi della Malga Pian de le Lastre (m 1277), ci sono indicazioni per il Rifugio Semenza e Casera Palantina. Già il parcheggio può essere un problema in alta stagione, quando il caldo soffocante della pianura spinge le persone a salire di quota per trovare respiro. Istinto di sopravvivenza appagato inoltre dalla bellezza di questi grandi spazi verdi. Oltre una sbarra prende avvio la strada sterrata, che sui pascoli ondulati accompagna fino al bosco (altra sbarra e altre indicazioni). Ci aspetta una bella passeggiata all’ombra dei faggi, con qualche saliscendi poco faticoso. Segnavia bianco-rossi, blu e una c nera in campo arancione, una bella confusione di vernici. Il bosco si fa più inclinato e tappezzato di massi, pieghiamo a sinistra. A un bivio, dobbiamo lasciare la strada diretta al “Sassòn e alla Madonnina delle Penne Nere” e girare per la Casera Palantina, su sentiero altrettanto battuto. Passiamo infine tra due gobbe, sbucando sulla verde radura dove appare la Casera Palantina (m 1508, ore 1,00). Un buon tavolo esterno dove consultare la cartina e riposare qualche piacevole minuto. Poco prima, un crocicchio tra le ortiche indica il sentiero 929 per il Cimon di Palantina (anche tratto dell’Alta Via n° 7). Lo vediamo spuntare oltre i pini infatti, con la sua lunga dorsale che scende quasi fino alla Casera. Proprio lungo questa spalla occidentale ci apprestiamo a salirlo, nel modo più naturale possibile e abbastanza facilmente. Ci si alza diagonalmente alla base del Col del Cuc, incontro ad un piccolo cippo commemorativo. Giriamo prima, mirando a destra una labile traccia che punta i ghiaioni soprastanti. Da un paletto con segnavia, il proseguimento si fa marcato e inequivocabile fino alla cima, lo assecondiamo tra alberi e roccette che richiedono piccoli e continui strappi per passarle. Ben presto ne usciamo e proseguiamo più piacevolmente lungo il costolone erboso, cercando solo di non calpestare i fiori che lo dipingono. Si allarga il panorama, possiamo distinguere le cime ancora libere dalle nuvole, che puntualmente arrivano ad avvolgerle. Via via il terreno si fa ripido, ancora scalini che fiaccano le gambe, contorniamo il colletto finale spostandoci sulla destra e l’erba lascia il posto alla roccia erosa e alle macerie. I segnavia ben disposti, ci portano a doppiare dei pinnacoli e poi a superare per cengia espostissima (pochi metri) i canaloni erbosi sulla testata della valle. Siamo ormai a ridosso del Monte Colombera, per una friabile balza ci alziamo a sinistra fino alla forcelletta divisoria con lo stesso. Un incrocio di sentieri: a sud continuiamo sulle creste del Monte Colombera, dritti scolliniamo incontro alla Forcella Palantina e al Cimón del Cavallo, mentre a sinistra puntiamo la nostra prima meta. Il tratto più avvincente quando ormai sentiamo il sapore della cima. Con l’aiuto delle mani e dei bollini rossi, scaliamo i gradini rocciosi lungo lo spigolo finale (1° inf.). Arriviamo sulla spalla erbosa accolti dalle stelle alpine e camminando tocchiamo il bel Crocefisso in ferro del Cimón di Palantina (m 2190, ore 2,30). Se non siamo avvolti dalle nuvole è davvero uno spettacolo. Possiamo inoltre studiare anche la via di salita alla Cima Manèra, che ci sta davanti.
Tempo salita al Cimón di Palantina ore 2,30.
Dislivello salita m 930 circa.
Ridiscesi alla forcelletta, caliamo dunque verso nord costeggiando tutto il versante orientale del Palantina fino alla medesima Forcella, sulla testata della Val Sughet (m 2055, cartelli). Uno sguardo alla severa parete nord del Cimón è istintiva e doverosa prima di impegnarci sulla salita del Manèra. Su per la rampa erbosa, attacchiamo la roccia che presenta passaggi solidi di primo grado. Guadagniamo un canalino interno che attenua la già scarsa esposizione e risaliamo altre roccette fino a un intaglio. Alcune gobbe facili conducono a un secondo intaglio, e anticipano l’attacco vero e proprio alla parete. I segnavia ci portano ad arrampicare piuttosto a sinistra (1°), una decina di metri, a sormontare un terrazzino pensile dove tiriamo il fiato. Gli appigli non mancano e, con la giusta determinazione riusciamo anche a divertirci. Qui è stato collocato un cavo d’acciaio che permette di superare il tratto più scabroso. Benché breve, si consiglia ovviamente di agganciarsi con cordino e moschettone, perché almeno il primo salto richiede un certo slancio. Il resto è facile, usciamo sulle bancate superiori che conducono alla campanella della Cima Manèra (m 2251, ore 1,00 dalla cima del Palantina). Sulla destra vediamo anche arrivare gli infissi dell’Alta Via dei Rondói, che giunge alla seconda tappa dopo il Cimón dei Furlani.
Tempo totale salita ore 3,30.
Dislivello totale salita m 1130 circa.
Ritorno:siamo al giro di boa, vediamo il Rifugio Semenza e il sentiero che vi accede ormai a portata di mano. Giù lungo l’opposto versante dunque (sent. 924), sfiliamo tra i blocchi di roccia che caratterizzano il collegamento con la vicina Cima Laste, appena più bassa (m 2247). Ancora un cavo d’acciaio e ancora consigliamo di agganciarsi, quei pochi metri utili a raggiungere il terreno più filante. Ora i tratti difficili sono alle nostre spalle, camminiamo sereni incontro alla Cima Laste, che abbiamo modo di aggirare come pure toccarne la cima. La seguente calata al Bivacco e al Rifugio Semenza sulle caratteristiche laste non pone alcun problema (m 2020, ore 1,00 dalla cima del Manèra). Sito conosciutissimo delle Prealpi Bellunesi aperto fino a tarda stagione, accoglie in posizione strategica gli ospiti, indirizzandoli poi sulle vette limitrofe. È tempo di scendere a valle. La traccia marcata perde quota appoggiandosi alla parete del Monte Cornór, sulla destra orografica del lungo vallone. Passiamo sotto una curiosa sporgenza, trovando poco oltre l’inserimento del sentiero 923 che ignoriamo (tabelle con i tempi di marcia dei vari tracciati). Quasi pianeggiando affianchiamo ora la Cima delle Vacche assecondandone le diverse rientranze e superando le colate ghiaiose che troviamo nel mezzo. Il sentiero a volte è franato, passiamo appena più alti sulle rocce gradinate e con prudenza poiché l’esposizione si fa sentire. Finalmente doppiamo la spalla e cambia radicalmente il paesaggio: i dolci pendii dell’Alpago si sovrappongono alle immagini della tetra Val de Piera. Una brusca discesa, prima di puntare il bosco e le malghe che vediamo lontane. Una diagonale che non finisce mai, dove le foglie a terra minacciano sempre la scivolata. Usciti dal bosco, raggiungiamo i due edifici che vediamo più avanti (Malga Pradosàn m 1338), poi lungo la recinzione ci inseriamo sulla strada sterrata e in breve alla macchina (ore 2,30 dalla Cima Manèra).